La mancata costituzione della Commissione Tecnica da parte del Ministero della Transizione Ecologica paralizza le attività degli operatori generando sfiducia e ritardi e mette a rischio i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza

di Carlo Longo

C’è un’onda che monta e che sta per infrangersi sul tavolo del Governo guidato da Mario Draghi. È un’onda anomala, di quelle che non ti aspetti, perché arriva dalla parte che doveva risolvere e non complicare le cose. Ci riferiamo allo scoglio in cui sembrano destinate ad incagliarsi tutte quelle imprese che lavorano nel settore delle energie rinnovabili. Queste, dopo l’uscita dell’ultimo decreto semplificazioni, speravano di aver trovato un percorso autorizzativo semplice ed efficace; invece, sembrano essere state dirottate su un binario che forse non è morto ma certo rallenta ogni andatura.

La storia dei processi autorizzativi cui devono attenersi le imprese che vogliono realizzare impianti di produzione da energia rinnovabile, come il solare o l’eolico, è da sempre tortuoso e molto spesso accidentato. Ma non si può essere riduttivi, né si deve banalizzare il problema: questi iter sono a tutela di beni pubblici importanti, come ad esempio il territorio e l’ambiente, e hanno una loro complessità anche perché implicano il parere favorevole di svariati organismi di controllo.

Fatta questa premessa, non si può tuttavia non constatare come su un tema strategico per il paese e di grande impatto ambientale, dove l’Europa ha fissato obiettivi ambiziosi e stringenti per tutti, vi sia da apportare molto velocemente dei correttivi che facciano fare un netto cambio di marcia a questi iter rendendoli più snelli e più veloci e soprattutto eliminando quelle storture e disfunzioni che impediscono agli operatori di lavorare e di conseguenza all’Italia di rispettare gli impegni presi.

Da troppo tempo si assiste ad una mancanza di coordinamento tra Stato e Regioni. Una mancanza che si somma da un lato ad un ambientalismo un po’ retrò, spesso affetto dalla mortifera sindrome di Nimby (“Not in my back yard”, letteralmente “non nel mio cortile”) e dall’altro ad una burocrazia che, per incapacità e talvolta per interesse, non fa che rallentare ogni procedura. Tutto questo fa si che il tempo medio per ottenere tutte le autorizzazioni necessarie per la costruzione e la gestione di un impianto da fonti rinnovabili non sia mai inferiore a sei anni, senza contare che in Italia il rischio rigetto della domanda da parte degli operatori è tra i più alti del mondo.

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Il Ministro Roberto Cingolani

Gli imprenditori del settore avevano salutato con entusiasmo gli interventi normativi volti ad accelerare il percorso autorizzativo ed in particolare la nomina in seno al Ministero della Transizione Ecologica della Commissione Tecnica PNRR-PNIEC. Una struttura dedicata specificatamente alla valutazione ambientale dei progetti “Green” del Pnrr ma anche degli investimenti attuativi del PNIEC (tutti gli impianti fotovoltaici superiori a 10 MW di potenza) nata con l’obbligo perentorio di dare una risposta entro 130 giorni, dalla data di pubblicazione delle istanze, per la conclusione del procedimento.

Ma l’entusiasmo, nel giro di pochi mesi, si è trasformato in delusione, preoccupazione e anche irritazione. Le nuove norme, che, avrebbero dovuto semplificare e accelerare, prevedono che alla nuova Commissione possano essere assegnati progetti fotovoltaici presentati dopo il 31 luglio 2021. A questo proposito giova ricordare che il Ministero della Transizione Ecologica è stato costituito proprio per gestire gli investimenti e le riforme del Pnrr, Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Un piano pensato proprio per consentire all’Italia di gestire con efficacia la transizione energetica e che per questo prevedeva di accentrare a Roma l’autorizzazione finale “levando dalla disponibilità delle regioni una delle cause dei rallentamenti (appunto la VIA a livello locale) e allocando risorse e staff dedicati alla sfida della transizione”.

Insomma, la ratio del decreto “Semplificazioni Bis” era chiara: visto che i territori rallentano le procedure il MiTE creerà una super commissione di esperti che possa decidere, con un si o con un no in tempi certi e perentori su tutte le domande che gli arriveranno sul tavolo da parte degli operatori. Il guaio è che questa super commissione non si è riusciti neppure a costituirla. Doveva essere fatta entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge (che è del 30 luglio scorso), ma ad oggi ancora niente.

Ma se al Ministero sono rimasi fermi, non altrettanto hanno fatto le imprese, che dal 1 agosto hanno presentato domande senza però ricevere alcuna risposta o una risposta ciclostilata che certifica l’inadempienza dello Stato. Prendiamo il caso della TEP Renewables, un’impresa internazionale di sviluppo che è molto attiva in Italia dove ha circa 1 GW di progetti rinnovabili in autorizzazione. “Abbiamo deciso di togliere i progetti dalle mani della Provincia di Foggia per evitare di ricevere ancora dei dinieghi su basi preconcette e dover impugnare i suoi provvedimenti davanti al TAR. Trasferire tutto sul tavolo del Ministero, anche a costo di un raddoppio della spesa per gli oneri concessori, lo abbiamo deciso nell’auspicio di disincagliare le pratiche e beneficiare delle semplificazioni” dice Leonardo Montesi titolare del gruppo TEP Renewables. “Il problema è che la Commissione Tecnica PNRR-PNIEC, che doveva essere operativa dal 30 settembre scorso, non è ancora stata nemmeno nominata dal Ministro della Transizione Ecologica e il MiTE, per non fare decorrere i termini che sono perentori, non pubblica i progetti, limitandosi a scrivere ai proponenti che l’avvio dell’iter istruttorio avverrà solo a seguito dell’insediamento della Commissione Tecnica PNRR-PNIEC e comunque presumibilmente non prima di 180 giorni. Più che un’accelerazione il MiTe per il momento si è regalato una moratoria del termine, non lasciando alle imprese come la nostra altra alternativa che tutelare il proprio interesse legittimo ricorrendo al TAR per sanzionare l’inerzia del Ministro stesso”.

Le parole di Montesi rispecchiano un allarme generale di tutti gli operatori del settore, che si trovano un po’ tra l’incudine e il martello. Da un lato devono rispettare obiettivi strategici molto sfidanti, che lo stesso Governo, seguendo direttive Comunitarie, ha fissato, dall’altro si trovano un apparato burocratico che non solo non facilita ma che continua a frenare e talvolta ostacola gli iter autorizzativi, come la mancata costituzione della Commissione Tecnica dimostra. Ed è per questo che da più parti ormai si auspica un intervento diretto di Mario Draghi. Andare avanti così, come è del tutto evidente, non è più possibile.